Lettera agli Efesini 3:1-21
Note in calce
Approfondimenti
io, Paolo, prigioniero a motivo di Cristo Gesù L’apostolo Paolo fece infuriare i suoi connazionali per l’impegno da lui profuso, in qualità di discepolo di Gesù Cristo, tra i non ebrei. Questo portò alla sua detenzione, prima in Giudea e poi a Roma (At 21:33-36; 28:16, 17, 30, 31). Paolo poté quindi dire di essere prigioniero a motivo di Cristo Gesù a beneficio delle persone delle nazioni. Durante i due anni della sua prima detenzione a Roma (59-61 ca.) scrisse diverse lettere. (Vedi approfondimento ad At 28:30.) In quella indirizzata agli efesini, per altre due volte afferma di essere prigioniero o in catene (Ef 4:1; 6:20).
incarico di amministrare l’immeritata bontà di Dio In qualità di “apostolo delle nazioni”, Paolo ricevette un incarico speciale (Ro 11:13). È come se in questo versetto dicesse alle persone delle nazioni: “Mi è stata affidata la responsabilità di aiutarvi ad avvalervi dell’immeritata bontà di Dio”. Il termine greco qui reso “incarico di amministrare” (oikonomìa) può anche essere tradotto “amministrazione” (Ef 1:10; 3:9).
immeritata bontà Vedi Glossario.
come vi ho scritto prima brevemente A quanto pare Paolo si riferisce non a un’altra lettera ma a quello a cui ha già accennato brevemente in questa stessa lettera, per esempio in Ef 1:9, 10 e 2:11-22.
persone delle nazioni In riferimento ai non ebrei. In questo versetto Paolo mette in evidenza un aspetto del sacro segreto che, come menziona nel v. 3, gli è stato rivelato. (Vedi approfondimenti a Mt 13:11; Ef 1:9.) Qui chiarisce che, oltre ai credenti ebrei come lui, anche ai non ebrei è stata data l’opportunità di essere membra dello stesso corpo, ovvero la congregazione cristiana, di cui Gesù Cristo è il capo (Ef 1:22, 23; Col 1:18).
Io ne sono diventato ministro Lett. “di cui sono diventato ministro”. L’espressione “di cui” sembra riferirsi al “sacro segreto” menzionato nei vv. 3 e 4, ma potrebbe anche riferirsi alla “buona notizia” menzionata nel v. 6, che è strettamente correlata a questo sacro segreto (Ef 6:19). Nelle sue lettere Paolo parla spesso di sé e dei suoi compagni d’opera come di ministri. (Vedi approfondimenti a 1Co 3:5; 2Co 6:4.)
il dono dell’immeritata bontà di Dio Vedi Glossario, “immeritata bontà”.
immeritata bontà Vedi Glossario.
l’amministrazione del sacro segreto O “come è amministrato il sacro segreto”. (Per una trattazione della parola greca oikonomìa, qui resa “amministrazione”, vedi approfondimento a Ef 1:10.)
mediante la congregazione La congregazione cristiana degli unti rappresentava un aspetto del sacro segreto: Dio si era proposto di scegliere alcuni esseri umani perché diventassero coeredi di Cristo nella gloria celeste (Ef 3:5-9). Dio rivela, o fa conoscere, la sua sapienza ai governi e alle autorità nei luoghi celesti tramite quello che lui fa mediante, per e con questa congregazione. Gli angeli seguono con meraviglia e ammirazione il progressivo svelamento del sacro segreto. Perciò si può dire che “mediante la congregazione” gli angeli riescono a vedere in un modo del tutto nuovo “la sapienza di Dio nei suoi molteplici aspetti”. (Confronta 1Pt 1:10-12.)
il proposito eterno In questo contesto il termine “proposito” si riferisce a uno specifico obiettivo, o fine, che si può raggiungere in più di un modo. Indica la volontà di Geova di portare a compimento ciò che si era prefisso in origine per l’umanità e per la terra nonostante la ribellione in Eden (Gen 1:28). Subito dopo la ribellione, Geova stabilì questo proposito che riguarda il Cristo, Gesù nostro Signore. Predisse la comparsa di una “discendenza” che avrebbe cancellato i danni causati dai ribelli (Gen 3:15; Eb 2:14-17; 1Gv 3:8). Si tratta di un “proposito eterno” (lett. “proposito delle epoche”) per almeno due motivi: (1) Geova, definito “Re d’eternità” (lett. “Re delle epoche”) in 1Tm 1:17, ha deciso di far passare intere epoche prima della sua completa realizzazione; (2) gli effetti derivanti dal suo adempimento dureranno per tutta l’eternità. (Vedi approfondimento a Ro 8:28.)
questa libertà di parola Il cristiano ha “libertà di parola” (o “coraggio”, “assenza di paura”) in virtù della bella amicizia che lo lega a Geova Dio. Può rivolgersi a lui in preghiera liberamente e con fiducia perché esercita fede in suo Figlio Gesù Cristo e nel sacrificio di riscatto (Eb 4:16; 1Gv 5:14). In alcuni contesti il termine greco qui reso “libertà di parola” si può riferire anche al parlare della fede cristiana con franchezza e senza indugio. (Vedi approfondimenti ad At 4:13; 28:31; 2Co 7:4.)
a motivo delle sofferenze che sopporto per voi Le sofferenze che Paolo stava sopportando erano il risultato del servizio che aveva compiuto per gli efesini. Ma ne valeva la pena viste le benedizioni spirituali che ne derivavano per loro. Il suo esempio li incoraggiava a non perdersi d’animo, per questo Paolo poté dire che sopportava quelle sofferenze per loro, cioè in loro favore. (Confronta Col 1:24.) D’altro canto, se Paolo si fosse arreso ai suoi persecutori, alcuni cristiani di Efeso avrebbero potuto scoraggiarsi, giungendo alla conclusione che non valesse la pena essere cristiani viste le difficoltà che questo comportava.
al quale ogni famiglia [...] deve il proprio nome Il termine greco reso “famiglia” (patrià), che deriva dalla parola per “padre” (patèr), compare solo tre volte nelle Scritture Greche Cristiane (Lu 2:4; At 3:25). Ha un significato ampio e non si limita all’immediata cerchia familiare. Nella Settanta viene usato diverse volte per tradurre un termine ebraico che, oltre al significato di famiglia, può indicare in senso lato anche tribù, popoli o nazioni (Nu 1:4; 1Cr 16:28; Sl 22:27 [21:28 (27), LXX]). Dicendo che ogni famiglia “deve il proprio nome” a Dio, Paolo indica che tutti, sia gli ebrei che i non ebrei, hanno un’origine comune, avendo come Padre Geova Dio.
ogni famiglia in cielo Geova Dio, in quanto Padre della famiglia celeste, considera gli angeli suoi figli (Gb 1:6; 2:1; 38:7). Se chiama per nome le innumerevoli stelle (Sl 147:4), ha senza dubbio dato un nome anche a ognuno degli angeli (Gdc 13:18).
ogni famiglia [...] sulla terra Sulla terra ogni famiglia o linea genealogica “deve il proprio nome” a Dio perché fu lui a istituire la prima famiglia umana e a permettere ad Adamo ed Eva di avere figli (Gen 1:28; Mt 19:4, 5). Qui però Paolo non intende dire che Geova abbia letteralmente dato il nome a ogni singolo nucleo familiare.
il Cristo dimori nei vostri cuori insieme all’amore Qui Paolo incoraggia i cristiani di Efeso a conoscere e amare profondamente Gesù facendo propri il suo modo di agire e di pensare (1Co 2:16; 1Pt 2:21). Per i cristiani che permettono al suo esempio e ai suoi insegnamenti di influire sui loro pensieri, sentimenti e atteggiamenti, è come se Gesù dimorasse in modo permanente nel loro cuore simbolico, ovvero la persona interiore. Man mano che il loro amore per Gesù cresce, i cristiani rafforzano anche l’amore che hanno per Geova (Col 1:15) e acquisiscono forza interiore (Ef 3:16) per superare le prove di fede.
Siate ben radicati e solidamente poggiati sul fondamento Paolo usa queste due metafore, come fa anche altrove in Efesini (Ef 2:20-22; 4:16), per trasmettere un concetto importante: il cristiano dovrebbe essere stabile come un albero che è ben radicato nel terreno e solido come un edificio che poggia su buone fondamenta. In Col 2:6, 7 ricorre a un’immagine simile quando esorta a essere “ben radicati in [Cristo Gesù], edificati su di lui”. Inoltre, in 1Co 3:11 parla di un progetto di costruzione spirituale e paragona Gesù a un “fondamento”. (Vedi approfondimento a 1Co 3:10.) Per essere spiritualmente ben radicati e solidi, gli efesini dovevano studiare con attenzione la Parola di Dio, in particolar modo la vita e gli insegnamenti di Gesù (Ef 3:18; Eb 5:12). Questo a sua volta li avrebbe aiutati a stringere un forte legame con Geova (Gv 14:9).
conoscere l’amore del Cristo Per come è usato nella Bibbia, il verbo “conoscere” spesso significa più che acquisire informazioni su qualcosa o qualcuno. (Vedi approfondimenti a Gv 17:3; Gal 4:9.) In questo contesto “conoscere” vuol dire afferrare l’importanza o il significato dell’“amore del Cristo” e sperimentarlo nella propria vita in modo pratico. La semplice conoscenza, la comprensione puramente intellettuale di fatti o nozioni, non permette di per sé di afferrare veramente la personalità di Cristo. Coloro in cui questo tipo di conoscenza abbonda potrebbero addirittura iniziare a sentirsi superiori (1Co 8:1). Al contrario, il cristiano che arriva a conoscere “l’amore del Cristo che oltrepassa la conoscenza” si sforza di imitare l’amore che traspariva dal suo modo di pensare e di agire. Questo gli consente di usare la conoscenza che ha in modo equilibrato, amorevole e costruttivo.
colui che [...] può fare molto più Al v. 14 Paolo inizia una preghiera al termine della quale, nei vv. 20 e 21, loda Geova. Vi esprime questo concetto: i modi in cui Dio può esaudire una preghiera non si limitano a quelli che la persona che prega potrebbe avere in mente. Laddove il cristiano magari non vede la soluzione a un problema, Dio è in grado di fare infinitamente più di quanto chiediamo o immaginiamo. Egli può esaudire preghiere e mantenere promesse in modi che per gli esseri umani non sono nemmeno lontanamente immaginabili o prevedibili.
Amen Vedi approfondimento a Ro 1:25.